mercoledì 24 ottobre 2007

ITALIANI, BRAVA GENTE.

di Gianfranco Pazienza

Il ciclo delle manifestazioni di massa che si sono svolte tra settembre e il 20 ottobre, è stato inaugurato dal VDay convocato con il Blog di Grillo. Centinaia di migliaia di italiani, stufi dei privilegi di una casta politica che non comprende le domande, i tormenti e le ambizioni di una società che pure li ha eletti, senza bandiere si sono ritrovati a riempire le cento piazze italiane. Centinaia di migliaia ancora alla marcia Perugia-Assisi, un appuntamento tradizionale del pacifismo laico e cattolico, che continua ad interrogarsi sulla inutilità della guerra come strumento per risolvere i conflitti economici e sociali mondiali e locali. Qualche giorno dopo in cinque milioni hanno partecipato alla consultazione indetta da sindacato per pronunciarsi contrari o favorevoli all’accordo siglato con il governo in tema di pensioni e precariato. Poi con le Primarie domenica 14 ottobre oltre tre milioni di “elettori”, anche sedicenni ed immigrati, hanno scelto la rappresentanza del nascente PD, secondo un meccanismo nuovo di partecipazione politica. Il 20 ottobre, infine, almeno un milione e un popolo composito, ha invaso Roma e la Sinistra, e ha straripato gli argini dei temi tradizionali che animano i “palazzi”e i siparietti televisivi della politica. Un bagno di realtà sociale su cui sinistra, centro, destra, devono riflettere, scrivendo una agenda per parlare di ciò che preoccupa i giovani, i precari, gli immigrati senza diritti, le famiglie italiane che non riescono più a supplire l’assenza di politiche per il futuro dei giovani e la vita quotidiana degli anziani. E non bastano gli slogan che suggeriscono di “buttare” fuori di casa i bamboccioni, oppure agli anziani su come difendersi dal gran caldo che annuncia i mutamenti climatici, rifugiandosi al fresco climatizzato dei grandi supermercati.
Le realtà sono ben più serie e complesse. Le risposte devono essere attente, concrete e capaci di dimostrare di aver compreso la realtà. E questa realtà sfilava a Roma il 20 ottobre. Le ricette possono essere tante, bisogna avere solo la volontà di cimentarsi nell’individuare le soluzioni e concretizzare le giuste azioni di governo. Una volontà che si sforzi di comprendere i bisogni che intorno al tema lavoro riguardano diversi aspetti. Il primo deve anche chiarire un equivoco: lavoro non significa esclusivamente salario, con i drammi sociali dovuti alla precarietà; sul tema bisogna aprire a sinistra (ma non solo) una frontiera di innovazione ideologica. Oggi il paese discute di precarietà perché non è capace di parlare di lavoro e delle condizioni necessarie per crearlo, anzi dei lavori che non abbiamo più promosso. Ad iniziare da quello necessario per curare il nostro patrimonio culturale, naturale e paesaggistico, mettendo in sicurezza il Paese dai dissesti idrogeologici. Ma anche dei lavori industriali che, complice il debole e precario lavoro nel mondo della ricerca, senza innovazione e sviluppo hanno perduto occasioni d’oro, dopo le ferite e le proposte industriali della chimica di stato e della siderurgia. Oggi non produciamo neppure telefonini e non produciamo tecnologie per il fotovoltaico. Ma i consumi italiani stanno arricchendo le industrie del settore che operano nel nord Europa.Lavoro è ciò che rivendica un mondo di piccole e medie imprese che più di tutte non possono investire in ricerca e sviluppo e avrebbero bisogno dell’aiuto pubblico che, al contrario, le affligge di incertezze e lungaggini burocratiche. Mentre l’imprenditore marchigiano, che produce pasta l’unico in Italia ad adottare il sistema della completa tracciabilità del prodotto per assicurarne la qualità, dopo aver provato a vivere con mille euro mensili, ha compreso che la cifra è irrisoria per sostenere i consumi normali di una famiglia, e ha deciso di aumentare il salario dei suoi dipendenti di duecento euro. La motivazione? Svolgono un lavoro di qualità e meritano di guadagnare di più. Questo imprenditore dimostra che il problema della competitività non è il costo del lavoro bensì la qualità dei prodotti e del lavoro ( e “forse” anche della sicurezza).
Il 22 ottobre 2007 a Brindisi si inaugura la più grande centrale fotovoltaica europea interamente realizzata da un privato con un accordo di programma con la Regione Puglia. Questo imprenditore, pugliese, inizialmente concorreva per una attività concordata con il governatore Fitto, un inceneritore. Una iniziativa che incontrava non pochi conflitti e bloccava gli investimenti, rischiando di mettere in mora la regione. Con il dialogo istituzionale e con una burocrazia che ha snellito le procedure, il Presidente Vendola (grazie anche ai certificati verdi e la liberalizzazione del mercato dell’energia) ha convinto l’imprenditore a cambiare oggetto dell’investimento, per realizzare la centrale fotovoltaica.
Anche qui ricerca e sviluppo, ma soprattutto una politica capace di dialogare e favorire soluzioni, una politica libera e non distratta da quegli interessi “privati di casta”, quindi attenta ai bisogni più vicini alla gente e ai problemi del Paese.

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